Testo di Marta Lock.
Le sperimentazioni artistiche di Michele Toniatti, tra Informalismo Concettuale e immaterialità della ricerca Minimalista Nel momento in cui tutto ciò che appartiene alla realtà osservata, e anche ciò che invece ne è diametralmente opposto e dunque indefinito, non è più sufficiente agli artisti per esprimere la propria personalità creativa, allora emerge la necessità di spostarsi verso confini completamente differenti, spesso più intellettuali che non emozionali eppure ugualmente in grado di raccontarne il punto di vista, l’approccio nei confronti di quella ricerca che diviene punto focale della loro produzione. In questo caso l’incontro con la materia consistenza e concretezza a quei passaggi evolutivi essenziali a trovare una forte e incisiva personalità espressiva. L’artista di cui vi racconterò oggi affronta questo tipo di percorso dando vita a opere dove il concetto riesce a entrare in maniera armonica all’interno di una mancanza di forma che però diviene amplificatrice di un messaggio sottile apparentemente invisibile eppure fortemente presente. Il periodo più incisivo nell’arte del Ventesimo secolo fu senza dubbio quello che iniziò nel secondo ventennio e che proseguì fino agli anni Cinquanta, poiché le precedenti esperienze legate al distacco totale dalla realtà osservata, in cui era necessario sottolineare l’autonomia e la supremazia del gesto plastico dal mondo emozionale e soggettivo non solo dell’autore bensì anche del fruitore che doveva essere attratto dalla perfezione esecutiva senza provare sensazioni che non fossero quelle legate alla bellezza intrinseca dell’atto artistico, avevano in qualche modo terminato il loro corso inducendo i nuovi artisti dell’epoca a spingersi verso terreni nuovi e inesplorati. In questo contesto, e dopo aver raccolto le eredità dei movimenti più astratti, dal De Stijl olandese al Suprematismo russo, dall’Astrattismo geometrico al Razionalismo della Bauhaus, scuola quest’ultima dove cominciarono a nascere le prime interazioni tra arte e materiali appartenenti abitualmente ad altri utilizzi o applicando l’arte e strumenti apparentemente discostanti da essa, in questo contesto, dicevo, si svilupparono movimenti in cui l’assenza di forma fu estremizzata tanto quanto fu enfatizzato l’uso del colore spogliato da ogni tipo di sfumatura fino a giungere alla monocromia. Tutte le correnti che nacquero in quel periodo si spostarono verso la ricerca e l’introduzione della terza dimensione, aggiungendo, come parte del processo creativo anche il movimento; dunque lo Spazialismo estremo in cui l’atto di tagliare la tela diveniva esso stesso momento significativo dell’esecuzione dell’opera, come nella produzione di Lucio Fontana, si affiancò a una ricerca più morbida, incredibilmente intellettuale sulle infinite possibilità di dialogo con l’esterno generato dai rilievi ottenuti tramite l’utilizzo i chiodi posti al di sotto della superficie della tela che contraddistinsero il lavoro di Enrico Castellani e Agostino Bonalumi. La monocromia nelle loro opere era funzionale a dare massima rilevanza all’apertura o alle luci e ombre che derivavano da quella forma espressiva, mentre in altri casi l’intera produzione artistica si soffermò unicamente sulla purezza del colore, utilizzato sotto forma di pigmento e tenuto insieme con un fissativo particolare per trasformarne l’inconsistenza, come nel Minimalismo di Yves Klein. Il ruolo importante di questi grandi maestri del secolo scorso fu di fatto quello di mettere in evidenza l’importanza di un tipo di arte che, pur non essendo riconducibile né alla realtà osservata né al sollecitando un trasporto interiore, di fatto attraeva e conquistava il fruitore per la pura ricerca intellettuale, per quello stimolo a comprendere il processo esecutivo dell’autore, l’analisi quasi scientifico che lo aveva portato a dare origine ai suoi lavori. L’artista lombardo Michele Toniatti raccoglie l’eredità pioneristica degli esponenti di quegli anni di sperimentazione dando vita a una sua personale cifra stilistica dove da un lato amplia ed enfatizza l’utilizzo dei chiodi che Castellani e Bonalumi nascondevano sotto la tela e che con lui si trasformano, vengono ammorbiditi nella materia e resi sostegno visibile per i veri protagonisti di alcune delle sue opere, in cui la diversità cromatica spicca sulla neutralità dei pigmenti dello sfondo; ed è proprio sull’uso di questi ultimi che si focalizza la sua ricerca, usandoli in maniera pura e lasciando che essi divengano tappeto ideale per la vivacità coloristica che contraddistingue i suoi lavori. Contrariamente a Yves Klein però, Michele Toniatti non si sofferma su una sola tonalità bensì ha bisogno di mescolare, di creare sfumature che svelano l’assenza di determinismo dando spazio invece al possibilismo, a tutto ciò che non appartiene solo alla realtà bivalente bensì alle infinite sfaccettature che ogni evento, ogni circostanza, ogni punto di osservazione può presentare; non solo, l’artista attraverso le variazioni cromatiche, si assesta sulla consapevolezza delle differenze, dell’unicità di ciascuno proprio in virtù delle tonalità che lo contraddistinguono. Ecco dunque il motivo per cui oltrepassa le linee guida dei suoi predecessori rifiutando la monocromia, perché in un mondo contemporaneo tanto poliedrico e cangiante, così marcatamente costituito da un forte individualismo, malgrado poi però le persone tendano sempre a ricercare un’appartenenza, non sarebbe per lui possibile restare all’interno di un’uniformità cromatica che lo distoglierebbe dall’apertura che invece caratterizza il suo approccio alla vita. Il legno è il supporto su cui Michele Toniatti struttura le sue opere, come se la consistenza e la solidità di quel materiale fosse indispensabile per poi apporvi l’impalpabilità dei pigmenti puri che donano un’apparenza soffice, così come i sostegni dei tappi delle opere della serie Button sono meno coriacei e duri del ferro dei chiodi invece utilizzati da Castellani e da Bonalumi per le loro estroflessioni; in Button 2 emerge il concetto di diversità a dispetto della prossimità poiché Toniatti pone a distanza regolare i suoi pulsanti colorati ma poi alla base del perno che li sostiene mette una rete, quasi a voler delineare lo spazio vitale di cui l’essere umano ha bisogno per non dimenticarsi della propria vera essenza. Infatti ciascun bottone è costituito da sfumature differenti, non ce ne è uno identico all’altro, evidenziando dunque quello che è un concetto centrale della produzione dell’artista, quel caleidoscopio di esistenze che si sfiorano quotidianamente senza mai conoscersi a fondo, o forse al contrario pur conoscendosi devono in qualche modo apprendere a mantenersi saldi alla propria personalità, senza lasciarsi condizionare da influenze esterne. Nella serie Landescape dunque l’artista gioca con le parole poiché malgrado l’evocazione di un panorama, di fatto l’aspetto informale delle opere annulla ogni riferimento visivo, ecco perché nella seconda parte del titolo parla di fuga. La realtà deve essere interpretata sulla base della propria interiorità, della propria predisposizione e approccio all’esistenza, ma a dispetto di questa relatività sempre presente, non per questo è possibile considerare un punto di osservazione più reale rispetto a un altro, non necessariamente una tonalità più accesa predominerà sull’impatto evocativo di una più delicata e apparentemente leggera. Nell’opera Landescape N.6 Michele Toniatti sperimenta differenti tecniche di apposizione dei pigmenti, affinché essi mostrino una struttura differente, fascia cromatica per fascia cromatica, quasi come volesse rappresentare molteplici fasi di un’osservazione mentale e interiore che lo ha poi condotto all’esecuzione del lavoro; le tonalità sono accattivanti, sia per quanto riguarda le tre principali che dominano la tavola, sia nelle parti più piccole dove è persino più evidente il possibilismo che appartiene all’artista. Laddove Yves Klain si era dedicato a trovare la composizione perfetta del blu, Michele Toniatti sembra voler ricercare ogni potenziale perfetta variazione di colore, lasciandosi affascinare dalla pura bellezza di tutte quelle tonalità che arricchiscono la vita attraverso la contemplazione dell’arte, come se quest’ultima fosse un mezzo indispensabile a evadere per lasciare che la mente si liberi da ogni riferimento, da ogni influenza esercitata da tutto ciò che lo sguardo conosce e a cui si aggrappa. Michele Toniatti ha al suo attivo la partecipazione a moltissime mostre personali e collettive in Italia e all’estero – Parigi, Figueres, Budapest, Londra, New York, Barcellona, Bruxelles, Cannes -, nel 2018 gli è stato conferito il Premio alla Carriera presso sala stampa Camera dei Deputati a Roma, nel 2020 gli è stato consegnato a Cannes il Prix Grand Artiste in merito al progetto Congiunti edito dalla casa editrice Giunti, e infine il Premio alla Carriera assegnato dal Maco Museo di Veroli; è presente da anni nell’Atlante dell’Arte Contemporanea e nel Catalogo dell’Arte Moderna di Giorgio Mondadori.
My art testo magazine
Biancoscuro magazine
Io più di altri critici italiani, mi sono spinto ad applicare un metodo che in Francia ha una lunga tradizione nei Saluns des Rufusès, nei quali fu possibile riconoscere, in tempi meno difficili e meno
“affollati”, artisti come Manet e Gauguin. Ora ho preso visione di migliaia di proposte, ben sapendo che altrettante e più non si rivelano o hanno altri, diversi canali. Il progetto “Cllezione Sgarbi” ne selezione alcuni, come una costellazione in un firmamento in continua espansione. Il diritto di essere per un artista, significa la possibilità di uscire dall'anonimato solitario del suo studio. Per riuscirci non basta una semplice mostra, serve anche qualcuno di autorevole che abbia la voglia di scoprirne le potenzialità e prenderlo sotto la sua ala protettrice, capace di saper descrivere al pubblico l'essenza del messaggio di ogni singolo artista. La scelta del lavoro di Michele Toniatti per la mia raccolta delle stampe e disegni attesta la valenza del suo operato e il costante impegno artistico. In un epoca segnata dal tentativo di assegnare un prezzo a tutto e tutti e un grado di spendibilità sul mercato, la collezione d'arte ritorna ad essere il mezzo attraverso cui le opere riacquistano il loro valore, senza “prezzo” e senza tempo.
Vittorio Sgarbi storico dell'arte, politico e collezzionista
Critica di Giorgio Falossi
Intensa partecipazione e voglia di comunicare nella massima libertà le sue esperienze artistiche.
Michele Toniatti testimonia un atteggiamento di ricerca ma anche di fierezza, di sfida fronteggiando, con le armi della massima radicalità consentita, la volgarità straripante delle comuni banalità di certa pittura contemporanea. Svelare il senso di un tempo senza confini, dove la percezione non si limita all'oggetto , alla figura visiva, ma va oltre, senza inizi ne fine, ponendosi al di fuori della memoria per rinnovare di continuo le visioni della vita alla ricerca di una essenza che resta comunque insondabile. Visioni poste su una strada percorribile, cadenzata di forme pulsanti che si alternano con ritmo cromatico, il cui compito è come un gioco di combinazioni, il cui scopo è quello di mostrare il colore e la luce e comporre un idea di spazio ordinato e vibrante mostrando un loro splendore di intensità luminosa. Moduli costruiti con materiali non canonici, geometrie circolari o coniche con riduzione della forma all'essenziale. Moduli prototipi, modelli che si integrano nell'ambiente ricongiungendosi anche per interiore ricchezza e varietà a originali tendenze del design. A Michele Toniatti il merito di una inesauribile creatività, un impegno
consapevole che fa vivere con splendidi risultati la ricerca di nuovi motivi e di nuove emozioni in sostituzione di antiche ricette.
Critica di Gianni Dunil, sull'opera Costellazioni 2
“L'artista utilizza l'astrattismo per esplorare la propria armonia, raggiungendo la bellezza della forma con composizioni geometriche in un baluginare di luci e ombre. E' un'esperienza da vivere e sperimentare a livello sensoriale. Il rapporto spazio-tempo non può essere messo da parte, l'opera è vissuta dai materiali che la occupano e il movimento coinvolge con virtuosismo coloristico.”
Critica di Rita Taurone
Germano Celant afferma che l'arte povera si manifesta essenzialmente “ nell ridurre ai minimi termini nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Michele Toniatti manifesta un interesse esplicito per i materiali “poveri” , ossia terra, legno, segatura, reti, con l'intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso le abitudini semantiche. L'artista padroneggia con grande dimestichezza le tecniche pittoriche, sperimentando sempre nuovi idiomi e facendo ricorso, appunto, alluso di materiali in disuso di origine diversa.
La sua produzione artistica ha una forma, un ritmo, una configurazione propria; fa nascere una dimensione nuova per lo sguardo. Con gesti minuziosi, fini e attentamente soppesati dona alla tela una preziosità coloristica fuori dal comune. Nell'insieme delle sue composizioni i toni adoperati sono sempre caldi e armoniosi. La tecnica da egli maggiormente indagata nel corso del tempo prevede l'impasto di resina mescolata alla terra e talvolta alla segatura, cosi da far intuire che la sua opera è profondamente ispirata alle pratiche contemporanee dell'arte povera pur conservando l'espressionismo più assoluto. Poi, la pratica sempre ricca di nuove visioni, viene portata alla più entusiasmante ricerca concettuale.
Michele Toniatti è un artista a cui piace lavorare sui reticoli infinitesimali della materia. Egli ci offre una materia ricca e brulicante in cui la verità e la tuttunità della vita viene raccolta in senso assoluto.
L'atto di raffigurare qualcosa diventa, cosi, un modo per creare un'altra realtà, un mondo parallelo dove può avvenire tutto tranne ciò che avviene nel mondo reale. Il coinvolgimento diretto della realtà e l'esperienza di tutti i giorni diventano sempre più rilevanti nei lavori e nelle riflessioni di Toniatti. Anche se i soggetti dipinti dell'artista sono spesso delle icone, il modo di inserirle all'interno dello spazio pittorico è nuovo e straordinariamente sensibile. Un artista che possiede nuova linfa poetica, carica di magnetismo espressivo: è materia, gesto e caparbietà psicologica. La creatività dell'artista si muove in sincronia con la tenacia del suo pensiero. I dipinti talvolta si disgregano: i tagli bianchi ad esempi, presenti in molte delle sue creazioni, fendono e scompongono la tela conferendo alla pittura un nuovo ordine cosi da rompere l'apparente illusione di realtà riconoscibile; perchè il gioco di Toniatti risiede proprio in questo, rompere l'ordine apparente delle cose, cosi che la figuratività risulti falsata, come eccesso e sintomo di una realtà più astratta. La sua dimensione immaginaria riflette l'interconnessione nelle cose nel mondo, è un mescolarsi di emozioni e sensazioni. La sostanza della materia all'interno del suo universo artistico non è altro che la necessità di accedere al proprio io.
Di lui lo storico dell'arte Paolo Levi scrive: Le opere di Michele Toniatti sono di grande potenza espressiva: l'osservatore ne rimane affascinato in quanto percepisce la vibrazione creativa sottesa.
Dall'amalgama coloristica, scandita con virtuosa maestria, nell'intersecarsi delle linee, compaiono
allusivamente sembianze animali o uomini che sembrano danzare con leggerezza tra oggetti simbolici, intersecandosi con essi. L'artista ricorre a cromatismi intensi e vibrati, sfumati di tutte le possibili variabili tonali, per riprodurre il movimento continuo che anima la vita che si agita sulla tela. Si chiude qiù un universo parallelo, la qui bellezza fluisce morbidamente e armoniosamente.
Nella composizione si agitano sottili strisce chiare e velate trasparenze, in una successione di spaziale che conferisce ritmo al costrutto. Nelle opere di Michele Toniatti viene alla ribalta la magia di un ambiente misterioso, capace di stimolare l'immaginazione e la riflessione più intima.
La spiccata personalità dell'artista resa evidente da un linguaggio espressivo sapiente e dall'appassionata partecipazione emotiva. La sua arte è frutto di un attenta osservazione interiore, capace di risvegliare l'istinto percettivo del fruitore, permettendo di cogliere l'essenza più vera e profonda dell'opera.